A un giovane poeta,

„Briefe an einen jungen Dichter“

Jean-Charles Vegliante

Photo Mia Lecomte

 

 

 

Per cominciare a scrivere, se scrivere vuoi, devi leggere e leggere ancora, non solo poeti ma letteratura varia il più possibile, con una certa preferenza data a testi cosiddetti poetici. Poi, non devi mai sentirti in obbligo di niente, nemmeno di scrivere alcunché – tipo: cascasse il cielo, tre pagine al giorno –, se non ti credi spinto quasi tuo malgrado all’atto temerario di scrivere. Ogni vera scrittura è necessaria, e a rischio. Deve perciò servire a qualcosa – o perlomeno a qualcuno (il famoso “almeno un lettore”). Questa sarebbe la cornice o gabbia, per così dire etica, del tuo futuro mestiere.

Non ti lasciare irretire da pezzulli creduti à la mode come:

Vivi ora, fallo subito, la vita è breve. Vissima. Sima. Ed è subito pera. Avvocato accoltellato alla gola dalla ex compagna; è morto. Spreco di cibo, gravissimi due centauri. Per vivere col sorriso la stagione del foliage. Il sindaco di Sant’Agata parla di “rammarico per quanto avvenuto”. Rumori di fondo, sciame elettronico. E quando ci lascerà questo brusìo insensato e noioso? Mellie Pinco, selfie sexy su Instagram in lingerie nera e tacchi: l’ex modella stupisce e fa subito il pieno di like. Niente di personale, sia chiaro, a me sta a cuore il futuro del paese se prima di morire lascia un milione di euro al comune. Il giovane ha cercato di avere rapporti con un cumulo di foglie secche cadute in strada: arrestato. Ovviamente lo scatto è stato fatto in modo tale da non mostrare le intimità né della madre e né del figlio. Per me sei incommensurabile detto ciò. Posa nuda a 46 anni: lieve ischemia. Il codolo è la parte terminale di una lama andata molto storto se la soluzione è di tenere un coltello alla gola. Sono single e felice ma voglio innamorarmi. Ne ho il sacrosanto diritto oddio. Resta impigliata al cancello di casa: muore a 18 anni. Totalmente WTH cioè.

In tempi di Internet e di social, diffida innanzitutto dell’allusività, dei sottintesi, del “va da sé” fra amici (anzi friends). Pensa che molti interventi commenti accidenti hanno là una durata di vita molto breve, e dopo due o tre mesi non vengono più compresi da chi volesse (per caso) ancora leggerli – ma perché, mi chiedo? – Tu devi scrivere come se fossi convinto di diventare, bene o male, un classico; un classico moderno, s’intende, o addirittura ipercontemporaneo. Ossia uno che, al momento della stesura, si sia posto “en avant” (Rimbaud). Vale a dire: rivolto a lettori possibili, “a venire” (Fortini), sempre e ovunque. E magari pure in quanto autore postumo, non importa.

Diffida pure di quelle sensazioni che ti saranno parse sicuramente profonde e poetiche, ma diventate incomprensibili addirittura a te stesso, dopo un certo intervallo. Così alcuni brandelli di frasi o quasi versi regalati nel sonno o dormiveglia, deludenti quando non siano già cancellati al risveglio. Come: Dammi forte la mano per entrare nel bosco. Brivido del crepuscolo. Mi stimolava osservare il modo bizzarro in cui alla luce del sole si aggregava la polvere, nei posti meno prevedibili poi. Il pomeriggio opprime chi è nell’attesa di un qualche evento. Vagava il pensiero del nulla per conto suo, mentre ero circondato dal ronzio di molte mosche, invisibili fuori della finestra, fuse nell’aria. La luna dicotoma lucentissima quasi posata sul tetto richiamava il profilo di lei, impenetrabile e pregno di un’indefinibile rancore, provocandogli uno strazio quasi doloroso. E se fosse partita Penelope? Un’angustia da cui non usciva se non precipitando di colpo in un sonno greve, serrato come una canna di pozzo. Come galleria profonda di talpe timide. E musica sommersa calamitata dalla gravità intorno. Ballavamo lentamente, appiccicati aaah.

Dire quell’alba era indimenticabile non basta; tanto, nessuno l’avrà vista come te. Ma pure l’alba di albedine (allitterazione + figura etimologica e quasi dittologia) sarebbe insufficiente a fare di un vago “poetico” poesia. Questa è in genere restia ai sentimenti. Anzi, rifugge dalle emozioni (T.S. Eliot), senza negare pertanto che “senza emozione non si dà poesia” (Max Jacob). La poesia è di per sé paradossale. Perché dovrei subire quegli ombelichi infossati fra onde sovrapposte di ciccia – eppur denudati – solo in omaggio (pregiudiziale) alla moda dell’anno? Così come il “so romantic”, neanche l’invettiva di per sé fa poesia. E nemmeno l’apparentemente “semplice” quotidianità (Andreas Becker insegna: “Parole come bigodini, come mollette, parole come popolari”). L’antica definizione di Dante non contemplava niente di tale (bensì: invenzione – la fictio –, costrutto con retorica, musicalità) e insisteva sull’unità o sintesi dell’insieme (il poiein, alla fine, quale atto, azione compiuta). La stessa invenzione assoluta è merce rara, si trova sì e no una volta ogni secolo (Rimbaud), e si limita sovente al riciclaggio di buon livello, ossia a riletture e riscritture continue (di qui la necessità di leggere, affermata d’acchito e da ribadire ancora, senza limiti). Non è da escludere l’esercizio antico dell’imitazione, delle “à la manière de”, dei “pastiches” (Proust). Il tutto complicato, all’occorrenza, dall’adozione di una determinata gabbia metrica – poi da distruggere tranquillamente se si vuole scorrazzare liberi per altre spiagge. Alla fine, cancellare tutto ciò che vien detto “romantic” dagli amici anglosassoni. Conservare l’osso.   

Ma allora, tanto vale affidarsi agli algoritmi poetici, poco inclini alla sentimentalità, come in effetti pretendono alcuni brillanti teorici attuali? Occhio però alle conseguenze, anche immediate. Se l’I. A. consente di pensare ormai per così dire “umanamente” – o “razionalmente” in senso lato –, prevedendo all’istante la parola che stai per scrivere (ad es. se cominci a digitare spia- ti si propone spiaggia, o spiare, o spiazzato; mentre volevi scrivere magari spiaccia o spiallato, meno prevedibili) col pericolo di farti perdere il filo della tua propria, esitante espressione… Ma l’I. A. ti può anche, in altre forme programmate, offrire una bella figurina illustrativa: come un tramonto sulla città se hai digitato sera; ma tu, quasi come Rimbaud diceva dell’alba, volevi tentare “la sera mi bacia con lenta tenerezza”, magari senza ombra di abitazioni umane in giro, o addirittura invece in un vano vuoto nudo e chiuso, in una stanza, chissà. Chissà. I risultati suggeriti dall’I. A. potrebbero impoverire presto, anziché arricchire l’espressione, rendendola “spontaneamente” sempre più conforme a quanto passa il convento: ossia la doxa comune. E difatti, il linguaggio che si orecchia in giro, o si legge in rete è via via sempre più scontato, stereotipo, prevedibile appunto dall’I. A. (o viceversa?)… Abbiamo già in noi tale tendenza all’espressione invalsa, alle visuali banali, non aggiungiamo acqua fredda all’acqua calda – o pulci al mercatino.

Il poetico può essere sì, tra le sue cento o mille definizioni possibili comunque insufficienti, proprio “imprevedibile” – come del resto è sempre stata la semantica profonda di un discorso umano, al di là della mera lettura semiotica invalsa verso la fine del Novecento. In questo campo, le scienze cognitive, velocissime e in costante progressione, hanno ancora parecchio da fare. Sia pure, come sembra acquisito ormai, aggiungendo un granello di “fantasia” o meglio forse di azzardo (ché “fantasia prevedibile” mi sembra un ossimoro strambo) agli algoritmi. E, come di fatto dicono, cominciano a programmarlo. Ce la faranno? Potrebbe essere una pura illusione sia la “razionalità” della metafora informatica, sia il suo potere creativo; e una truffa la pretesa maggiore libertà dei social media (in parole povere, ampiamente monitorati come tutti sappiamo). Torniamo anzi al lapis, alla biro, al gessetto – non sempre magari, ma ogni tanto utili – appunto per migliorare le nostre capacità cognitive: questo, soprattutto per i più giovani (e fin da piccoli) non è affatto uno scherzo. Né un nostalgico appello ai “bei tempi passati”. Ma una misura preventiva minimalista per non incrementare il cretinismo e la dimenticanza spaventosa che incombono su di noi in ogni regione del mondo unificato. Sconsigliabile invece la penna d’oca, per ovvi motivi di praticità ed ecologia (lo stesso s’intenda della pergamena). Il ritmo e la forma sono dati anche dalla mano scrivente, polso e dita, e battere sui tasti o premere pulsanti non basta a sviluppare né il pensiero né l’espressione, né tantomeno la varietà visiva, spaziale dei testi prodotti (non stiamo parlando solo di calligrafia).

Codicillo, tornando all’indispensabile pratica della lettura: da privilegiare, anche lì, testi non pre-digeriti dai filtri elettronici, ma possibilmente integri e meglio se cartacei. La dispersione del “cerca trova” ipertestuale distrugge la qualità primaria di ogni discorso umano “naturale” (ossia, va da sé, culturale): la sua coerenza e dinamica interna, e il suo rapporto globale, non frammentato, con un insieme complesso quanto indefinito di altri discorsi prodotti prima e dopo di esso. Capillarità del sangue vivo, non pulverulenza accumulata dal big data. Insomma, prova a leggere opere complete, inserendole ma a modo tuo e con le tue capacità cognitive proprie nell’arcitesto che via via andrai costruendoti. Nessuno, né maestro né strumentazione artificiale, potrà mai farlo al posto tuo e con economia di sinapsi neuronali tue. Purtroppo sì, ci vuole tempo, ma è il tempo medesimo del testo, il suo spazio-tempo letterario: e non abbiamo altro. Amen(te).