Giuseppe A. Samonà
Tre ragazzini sui dodici tredici anni si strascinano indolenti per la via Maqueda, lunga, deserta, calda, sono le tre del pomeriggio, è estate. Vedono all’improvviso in lontananza come se fosse sbucato fuori dal nulla un ratto – si strascina indolente anche lui, ma in senso opposto, viene verso di loro, la sua ombra sembra riempire per larghezza la strada, è enorme. Rallentano, i ragazzini, rallenta, il ratto ; si fermano, si ferma ; lo guardano, li guarda. Uno dei tre batte con il piede per terra, forte, a liberare la strada. Il ratto lo guarda, non si muove. Battono forte il piede tutti e tre. Il ratto li guarda, si rimette in movimento, piano, ma deciso, e sempre verso di loro. Retrocedono d’un paio di passi – ma con lo sguardo in avanti, fisso -, si fermano, battono ancora il piede, insieme, più forte. Il ratto continua ad avanzare, senza più soste, anzi un po’ più veloce. Retrocedono. Avanza – più veloci, più veloce. Retrocedono. Avanza. Si voltano e cominciano a correre, senza voltarsi, finche arrivano a casa – né mai sapranno cosa fece il ratto.