Lamberto Tassinari
Lo Stato italiano è lo Stato di Pulcinella, dove nessuno comanda perché un’infinità di irresponsabili comandano, dove nessuno crea, perché gli incompetenti riddano attorno agli stipendi e alle sinecure, dove il domani è buio perché non esiste un’attività generale organizzata che segua rettilineamente una via conosciuta.
È il paese del disordine permanente, della censura permanente, dello stato d’assedio permanente, anche se decreti e disposizioni particolari annunziano, confermano, ripetono, avvertono, assicurano.
[Antonio Gramsci] Non firmato, Avanti!, edizione piemontese, 30 gennaio 1919
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Montreal, 8 marzo 2018
Non è la “fine della Storia” ma l’epilogo di un capitoletto meridionale della modernità. Penso da anni che l’Italia sia effettivamente avanti, voglio dire che sia all’avanguardia nel processo di dissoluzione delle democrazie capitalistico-parlamentari avanzate. Per questo tipo di società moderne non ci sono mille modi diversi di degradare e dunque il degrado prodottosi in Italia negli ultimi settant’anni può essere visto come un modello la cui validità è universale.
Prendiamo il disincanto per la politica politicante. In anni recenti il distacco e in misura crescente il rifiuto della politica da parte di un’importante porzione della società civile, è diventato un fenomeno macroscopico in quasi tutte le società del tipo avanzato. Bene, in Italia, questo divorzio tra società e politica esiste da sempre è, addirittura, il fondamento stesso della cultura politica italiana. L’ingovernabilità dell’Italia prelude a una crisi strisciante del rapporto tra società civile e istituzioni politiche negli altri paesi, crisi destinata a esplodere drammaticamente proprio dove lo Stato borghese si è affermato più saldamente. In Italia invece, non può esserci dramma, come all’Opera – canta Lucio Dalla – da noi, “ogni dramma è un falso”.
La crisi consiste piuttosto in un lento sbriciolamento, in una liquefazione delle istituzioni politiche di cui ora, con il “trionfo” (come scrivono i giornali) del Movimento 5stelle, stiamo vivendo l’epilogo. Nella società nata dal Risorgimento, la Sinistra è stata un’esagerazione, un’immaginazione dall’inizio alla fine. È stata una finzione nel senso che dice Giulio Bollati quando descrive un proletariato immaginato dalle avanguardie socialiste verso la fine dell’Ottocento in un paese che non possedeva ancora le condizioni di capitalismo maturo, dunque in cui un proletariato ancora non esisteva.
L’Italia si rivela come il «caso» capace di descrivere la putrefazione di una forma di governo, la democrazia parlamentare ma non offre la minima traccia di quello che sarà il futuro politico della civiltà “occidentale”.
Il tutto avviene oggi per l’azione di quel movimento ineffabile il cui slogan più esaltante è stato il “Vaffanculo Day”. Io non so chi sia Di Maio. Del fondatore del Movimento, Beppe Grillo, ricordo gli orgasmi anti consumistici, la foga contro il teatrino della politica del comico curiosamente impegnato ma comunque, seducente all’epoca cattocomunista. Berlusconi lo conosco un po’meglio, ho scritto qualcosa di incompiuto sulla saga di Forza Italia e conservo una copia di “Una storia italiana” il rotocalco dell’apoteosi dell’uomo di Arcore pubblicato dalla sua Mondadori nel 2001. Di Salvini conosco solo la faccia e mi basta. Dei politici protagonisti di queste elezioni so questo o poco più ma anche questo basta per dire che l’epilogo è il prodotto esatto del tempo passato, l’effetto immancabile delle cose avvenute. L’Italia infine è (putre) fatta e gli italiani pure.